Fratelli di fuoco

Chiddu era comu nu frati pi mia! Quello, era come un fratello per me…
Eravamo cognati, ma di quelli stretti stretti.
Avevo circa trent’anni, era da un po’ che nuddu, nessuno, mi chiamava per un lavoro e lui, Gaetano mi chiamò per lavorare assieme alla petrolchimica di Priolo. E chi se la faceva scappare l’opportunità? E così iniziai, avanti e indietro dal paese mio, Giarratana, fino a Priolo, ogni giorno che Iddio comandava.

Già da subito fici amicizia con gli altri colleghi. Anche Gaetano rideva con loro, ci batteva pacche sulle spalle, e qualche volta vedevo che con la coda dell’occhio mi guardava per un istante e mi strizzava l’occhio, «vèni, cumpari» e mi univo alle risate.

Non era molto che lavoravo nel cantiere, ma ero già abituato alla puzza di gas che si sentiva ovunque. Un giorno chiesi ad un superiore se fosse normale quell’odore così forte, e ricordo che mi rispose: «u petrolio stamu uscendo, nun profuma ri rose».

Un pomeriggio, erano circa le quattro, eravamo al lavoro nel cantiere per continuare gli scavi iniziati dalle ruspe. Si continuava lo scavo manualmente, prima col motopicco, col martello pneumatico, per spaccare i pezzi grossi di pietra, poi con pala e piccone per terminare.

Mi stavo preparando dopo una pausa del mio gruppo, ripresi la pala e scesi nella buca, che si era fatta un poco più fonda rispetto a prima, Gaetano ci stava dando sotto col lavoro insieme ai suoi. Bisognava stare attenti a non picchiare sui tubi che si trovavano già nel terreno, se non volevi farti esplodere! Si raffinava il petrolio, nel cantiere, e lì sotto ne passava a fiumi. Il sottosuolo era come una rete di tubature, con condutture che si diramavano in più direzioni.

Stavo scavando da forse un’ora, quando mi alzai per un momento per asciugarmi il sudore, sentii per una frazione di secondo un sibilo fortissimo, come di una pentola a pressione, di scatto mi voltai per capire da dove provenisse quel suono e un’esplosione fortissima mosse tutta l’aria circostante, seguita da una ventata di aria bruciante. Buttai a terra la pala che tenevo in mano e corsi verso la parete ripida di terra che portava all’uscita della buca. Sentii delle grida dietro di me e voltandomi vidi l’inferno. Le fiamme si stavano propagando velocemente per tutto il cantiere dello scavo e vedevo i compagni di lavoro correre disperatamente cercando di salire le pareti. Ero già quasi in cima alla salita quando un pensiero mi fulminò: «Gaetano!» era anche lui lì! Con un salto, senza pensarci ancora, ritornai sui miei passi «Gaetano, Gaetano!» gridai, non lo vedevo, mi bruciavano da morire gli occhi, non si riusciva quasi a tenerli aperti. Ero quasi attorniato dalle fiamme quando eccolo, Gaetano era lì, per terra, con i vestiti che stavano bruciando, caduto forse mentre stava cercado di salire. Corsi verso di lui attraversando le fiamme, lo afferrai di peso con tutta la forza che avevo per cercare di salvarlo. Accidenti quant’era pesante, mentre lo tiravo sentivo la pelle che mi bruciava, mi lacrimavano gli occhi e non vedevo quasi niente, sentivo solo il fuoco addosso e il peso di Gaetano, dovevo salvarlo a tutti i costi. Saranno passate poche manciate di secondi, non lo so, a me è sembrata un’ora mentre battevo i piedi sulla terra spingendo con le ultime energie che mi rimanevano Gaetano e me stesso fuori dall’orlo della buca.

Eravamo salvi, almeno io mi sentivo ancora vivo, Gaetano era ancora a terra immobile. Ci trasportarono poi in ospedale in tutta fretta, rimasi vigile per tutto il tempo, anche se mi bruciava dappertutto. Non so quando, ma ad un certo punto mi sentii così stanco che chiusi gli occhi e mi addormentai.

Apro gli occhi e sono disteso… Dove sono? Perchè sono in un letto? E queste bende? Aspetta che mi alzo… «Angelo accurcati!» mi disse una persona vestita di un camice bianco. «Chi è lei?» risposi io, o almeno provai a rispondere, ma sentivo che mi usciva solo una specie di rantolo rauco.
Vidi un’altro letto alla mia sinistra, con diversi macchinari attorno, ma non riuscii a capire chi ci fosse sopra. Vedevo forme sfocate. Chiusi gli occhi e mi addormentai. Mi risvegliai ore dopo. Ero ancora disteso a letto e sentivo che non potevo muovermi liberamente.
«Angelo, ci semu fatti ‘na bìedda dormita, eh!» era la stessa voce di prima. Riuscivo ad aprire gli occhi a fatica e riconobbi quella persona incamiciata, era un dottore, o almeno sembrava dal camice che portava. Sempre affianco a me, sulla sinistra, c’era quel letto e vedevo una persona che mi sembrava di riconoscere… «Gaetano!» iniziai a tossire terribilmente. Che dolore dappertutto, mi tiravano le carni come se mi ci avessero ficcato degli uncini fino all’osso… Mi sentivo un maiale squoiato. Ci misi un po’ prima di riprendermi, avevo le lacrime agli occhi dal dolore «Sei vivo?»
«Angelo, guarda che non ti può sentire, è incosciente» mi disse il dottore «sei riuscito a tirato fuori da quel disastro, solo che tutto sommato tu ormai stai bene, ti abbiamo levato le flebo oggi… Lui si è mezzo ammazzato, non sappiamo se ce la farà».

Gaetano? Lo avevo salvato? Eravamo finiti entrambi in un disastro? Cominciavo a ricordare… Oddio sì… Era caduto e aveva già i vestiti che avevano preso fuoco… Ma non ho visto nulla, ricordavo solo il suo peso mentre lo trascinavo e la pelle che mi bruciava… Gaetano… Mi sporsi per vederlo… Era lui? Come avevo fatto a riconoscerlo? Era sfigurato e coperto di bende. Stava dormendo e aveva un tubo in bocca e uno nel naso… Mi rimisi sdraiato appoggiando la testa sul cuscino, guardando il soffitto. Ero come stordito, sia dal dolore su tutto il corpo che da quello che avevo appena visto. Sentii come se il mio cuore si aprisse e scoppiai a piangere.

I giorni erano lunghi in ospedale, il tempo passava lentamente e male, non si può dire che me la passassi bene… Arrivò una mattina in cui Gaetano iniziò a muovere la mano… La stanza era vuota… Eravamo solo noi due. Era il suo primo movimento da quando eravamo stati ricoverati, da quello che mi ricordo… Passò qualche istante, poi aprii l’occhio che non era bendato e si guardò lentamente intorno. Io potevo stare all’impiedi, per cui mi avvicinai e mi misi accanto al suo letto. Ci mise un po’ prima di riuscire a tenere l’occhio tutto aperto, poi si girò dalla mia parte… Mi guardò in silenzio e sorrise poco poco, piano piano. Mi tremava il labbro e iniziai a vedere le gocce di lacrime mentre cadevano sulle lenzuola bianche del letto… «Angelo… Tu si u’me frati».

 

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