Un caffè?
Ogni mattina è consuetudine in quasi tutte le case preparare il caffè. È la prima azione della giornata, preparare la moka, metterla sul fuoco, e appena si sente il gorgoglio spegnere la caffettiera, versare il caffè nella tazzina, quindi berlo.
Da seduti o in piedi non ha grande importanza in fondo. È un rito che si ripete giorno dopo giorno e che dà un po’ di carica per affrontare la giornata. Il caffè. La bevanda più diffusa al mondo.
Giuseppe Verdi lo definì “balsamo del cuore e dello spirito”.
Non si sa esattamente quando o da chi fu scoperto il caffè. Tra le varie leggende etiopi e arabe, la più interessante, e che con qualche variazione riportano tutti gli scrittori, parla di capre danzanti.
Un pastore di nome Kaldi, poeta per natura, amava seguire i sentieri tortuosi battuti dalle sue capre nel rastrellare i fianchi delle colline alla ricerca di cibo.
Il lavoro non era molto impegnativo, così era libero di comporre canzoni e suonare il flauto.
Sul finire del pomeriggio, quando egli emetteva una speciale nota acuta, le capre smettevano di brucare nella foresta affrettandosi a seguirlo sulla via del ritorno.
Un pomeriggio, però, le capre non risposero al richiamo. Kaldi suonò il flauto con forza una seconda volta. Ancora niente. Perplesso, il ragazzo salì più in alto per poter meglio udire qualche rumore. Alla fine sentì dei belati in lontananza.
Girato di corsa l’angolo di uno stretto sentiero, Kaldi si ritrovò all’improvviso davanti alle capre. Sotto la fitta vegetazione della giungla che lasciava filtrare il sole in luminose chiazze sparse, le capre scorrazzavano, sbattevano le une contro le altre, danzavano sulle gambe posteriori e belavano eccitate.
Senza fiato per lo stupore, il ragazzo rimase ad osservarle a bocca aperta. “Devono essere sotto l’effetto di qualche sortilegio – pensò – cos’altro potrebbe essere?”
Mentre le stava a guardare, una dopo l’altra le capre si misero a masticare le lucide foglie verdi e le rosse bacche di un albero che non aveva mai visto prima.
Dovevano essere stati quegli alberi a fare impazzire le sue capre. Era forse un veleno?
Sarebbero tutte morte? Suo padre lo avrebbe ucciso?
Non gli fu possibile riportare le capre a casa con sé se non dopo diverse ore, ma nessuna di esse morì. Il giorno dopo tornarono di corsa allo stesso posto e si ripeté la stessa scena.
Questa volta Kaldi decise che non doveva essere troppo pericoloso imitarle. Prima masticò qualche foglia. Avevano un sapore amaro. Nel masticarle però avvertì un lieve formicolio che si muoveva dalla lingua fin giù nello stomaco per poi espandersi a tutto il corpo. Poi provò le bacche. Il frutto era leggermente dolce e i semi che ne fuoriuscivano erano ricoperti da una spessa e saporita mucillagine. Infine, masticò i semi stessi. E schiacciò un altro frutto in bocca.
Ben presto, stando alla leggenda, Kaldi cominciò a saltellare. Sgorgavano da lui poesia e musica. Si sentiva come se non avesse mai più potuto provare stanchezza e malumore. Kaldi raccontò al padre dei magici alberi, la notizia si diffuse e il caffè divenne presto parte integrante della cultura etiope. E da lì a poco si imparò a utilizzare le diverse parti della pianta (foglie e bacche) per la preparazione della nera e calda bevanda che conosciamo oggi.
Il segreto del caffè, la sostanza “magica”, prodotta dalla pianta per difendersi dagli insetti, è la caffeina, in grado di stimolare corpo e mente, aiutando tutte le forze umane.
Per questo motivo ha spinto portoghesi, francesi, olandesi e inglesi a combattere come per l’oro pur di ottenerla.
Questo chicco è stato alleato dell’uomo nella lotta per la libertà e, al tempo stesso, per la sua coltivazione nelle zone tropicali, causa della schiavitù di milioni di uomini.
In Italia il caffè è senz’altro una passione che dalla Val D’Aosta fino alla Sicilia, accomuna tutto lo stivale, isole comprese. Siamo tutti concordi infatti nell’apprezzare e nel gustare al bar, un’ottima tazzina di espresso, rigorosamente in tazza e non al vetro. Un vero piacere irrinunciabile.
Uno studio della International Coffee Organization insieme a Camera di Commercio di Milano e Fondazione De Longhi ha dimostrato senza ombra di dubbio che il caffè può essere considerato un fattore unificante per l’Italia: circa il 97% degli italiani lo gusta, di media se ne bevono 4 al giorno, di cui 2 a casa, uno in ufficio e uno al bar.
La mattina è il momento dove si concentra maggiormente il consumo di questa bevanda: uno a colazione, un espresso a metà mattina e l’immancabile caffè del dopo pranzo.
C’è inoltre una differenza nell’assunzione da parte di uomini e donne, pare infatti che i maschi prediligano bere il caffè anche la sera dopo cena, mentre le donne, prendono l’ultima tazzina dopo pranzo o al più tardi nel pomeriggio.
Ci sono anche differenze significative tra nord e sud nell’arte della degustazione dell’espresso, differenze dettate da fattori culturali più che da mancate competenze.
Al Nord si predilige una miscela delicata, solitamente una percentuale di Arabica e Robusta per ottenere un caffè gustoso ma leggero, fruttato e con un retrogusto dolce. Nella maggior parte dei casi viene bevuto ben zuccherato. Dal punto di vista del servizio, spesso non viene offerto il classico bicchiere d’acqua. Mentre d’estate si preferisce la versione fresca, quindi il caffè shakerato magari con l’aggiunta di una goccia di liquore dolce, aromatizzato alla vaniglia.
Al Sud, bere il caffè è un vero e proprio rituale, l’espresso deve essere robusto, corposo e ristretto. Forte e con una spiccata nota di amaro, spesso viene preparato e gustato senza zucchero. Viene servito bollente e talvolta viene riscaldata anche la tazzina per mantenere il calore ed esaltarne il sapore.
È sempre accompagnato da un bicchiere di acqua ghiacciata, da bere prima di gustare il caffè per preparare il palato e amplificarne a pieno il sapore.
Esistono poi, sempre al sud, delle tradizioni regionali specifiche, come il caffè napoletano preparato con un particolare tipo di moka, chiamata “cuccumella” o il caffè salentino che viene gustato con un cubetto di ghiaccio all’interno.
In qualsiasi versione venga servito, comunque, il caffè è una delle bevande calde più amate dagli italiani.
In questi tempi di pandemia, il rito del caffè al bar, è forse una delle cose che ci sono più mancate.
Un’abitudine tutta italiana, un momento importante di socialità perché la caffetteria è da sempre il luogo principe dell’aggregazione e della socializzazione.
Vivere il bar, assaporare il caffè appoggiati al bancone o sorseggiarlo comodamente seduti al tavolino, sono gesti che vorremmo presto tornare a vivere. Ci mancano tutte quelle cose che davamo per scontate ma che ora abbiamo capito non essere assolutamente banali.
Perché il caffè è molto più di una semplice bevanda.
Il rumore delle tazzine che sbattono, il sorriso del barista che augura il buongiorno, i suoi consigli, il suo modo di ascoltare le confidenze del cliente…
E ancora le chiacchiere e le amicizie che si creano attorno ad una tazzina. Il bar come luogo dove fare la seconda colazione dopo quella a casa o dove condividere la passione per uno sport. Il bar come posto dove rilassarsi, fare pausa dal lavoro o ricaricarsi dallo studio. Il profumo del cornetto appena sfornato ad accompagnare l’aroma di un caffè per una pausa rigenerante.
Eh sì. Manca il rumore del cucchiaino che gira lo zucchero nella tazzina. Mancano le domande del barista: “Lungo? Macchiato?…”
Mancano quei momenti di aggregazione in cui ci si conosceva e si condividevano passioni e segreti.
Manca il gusto di un caffè tra amici o anche solo tra persone che condividono uno stesso momento di puro godimento.
Ma il caffè sarà in grado di adattarsi, come ha fatto fino a ora ai tempi, ai luoghi e alle culture, e non c’è dubbio che il suo futuro perdurerà nei secoli come la bevanda più amata.