Scale al buio
Scendevo le scale al buio, tutte le mattine. Mia madre mi diceva sempre «spegni la luce che si consuma». Quell’abitudine mi è rimasta. Nel momento in cui oggi mi avvicino per premere l’interruttore, la voce di mia madre mi risuona in testa e mi blocco dall’indecisione per un istante, prima di illuminare un ambiente con quei bulbi incandescenti, mano a mano sostituiti dalle lampadine “a basso consumo energetico”.
Sono cresciuto in una casa modesta, quinto di cinque figli. Gli abiti in casa mia avevano vita lunga, li potevi vedere su Massimo, mio fratello più grande, per almeno un paio di anni, poi su Francesco, Marco, e infine su di me. Non avevo ancora conosciuto il concetto di “passato di moda”, ma lo imparai in fretta. A volte i tessuti erano così sbiaditi che pareva di indossare un altro capo.
A casa mia si mangiava quello che c’era. Non avevamo molto, ci si alzava da tavola con ancora un po’ di appetito che pizzicava lo stomaco. Oggi vi è l’abitudine diffusa di mangiare poco per seguire una dieta… Ripensando alle bistecche grasse e succulente che mi sognavo la notte, i dolci cremosi guarniti di cioccolato fondente e le meringhe allo zabaglione esposte in vetrina che fissavo incantato durante le passeggiate in centro con papà, non saprei dire come questo mi fa sentire. Di certo faccio fatica a comprenderlo.
Siamo cresciuti in fretta, non c’era tempo per lagnarsi o svagarsi troppo, bisognava aiutare in casa perchè i soldi erano pochi.
Andai a lavorare presto, lavoretti di fatica dopo la scuola mentre si cercava di rimanere svegli la sera per studiare. Mio padre me lo diceva sempre: «impegnati!»… E così ho sempre fatto. Sono riuscito a finire la scuola senza pesare sulla mia famiglia.
Mano a mano che crescevo imparavo che per guadagnare, usare solo la forza bruta e faticare non è sempre il metodo migliore, il più redditizio, e vedevo che alcune mansioni erano più remunerate di altre. Così dai lavoretti che prima cercavo per stringere qualche moneta in più, cercai come potere mettere a frutto il mio tempo in modo migliore, quantomento per un ricavo maggiore.
Iniziai con un lavoro alle dipendenze. La gioia del primo stipendio me la ricordo ancora. Pensai in quel momento, stringendo fra le mani quelle cinquanta mila lire, di essere l’uomo più ricco del mondo.
Finalmente potevo aiutare in modo serio la mia famiglia.
Passarono i mesi e il lavoro continuava. Non si stava male. Niente più dolori alle gambe, alla schiena e la sera arrivavo ad avere ancora energie, rispetto a quando mi ammazzavo di fatica per i lavoretti fatti in passato.
Poi però le giornate iniziarono ad assomigliarsi molto, facevo quello che il mio capo mi diceva, a fine mese ricevevo il mio stipendio… Non ero arrivato a compiere un anno di lavoro, che questa modalità “da dipendente” iniziava a starmi un po’ stretta. Volevo che il mio destino dipendesse da me solo, dalle mie capacità. Mi venne in mente di acquistare un piccolo furgone… Acquistare per modo di dire… Spesi tutti i miei risparmi, firmai un sacco di cambiali e presi quel furgone. Mantenni per qualche mese il mio lavoro da dipendente, mentre nella seconda parte della giornata e specialmente nei fine settimana, macinavo chilometri di strada per consegnare della merce da un fornitore ad un acquirente, da un’azienda all’altra. Mi ero inventato qualcosa che faceva comodo agli imprenditori, un servizio di consegna rapida che non era così diffuso ai miei tempi.
Mano a mano che arrivavano i primi guadagni saldai piano piano le cambiali… Non riuscendo più a sostenere due lavori contemporaneamente e vedendo possibilità di sviluppo in questo mio “nuovo” lavoro, decisi di credere in me e nella mia attività. Mi licenziai dal lavoro “fisso” e con un piccolo gruzzoletto derivante dalla liquidazione anticipai quanto bastava per uno stipendio di un mese per una persona che mi aiutasse nei trasporti.
In due il lavoro procedeva più scorrevolmente, non ero solo io a caricare e scaricare la merce e potevamo alternarci alla guida, in modo da non stancarci troppo… Prima che finisse il mese decisi di investire nuovamente acquistando (sempre con le stesse modalità di dilazione del pagamento) un secondo furgone.
Riuscii ad avere un margine per potere continuare a dare lo stipendio al mio collaboratore, e così fu per il mese seguente e quello successivo. In un anno riuscii ad acquistare un altro furgone e ad assumere un’altra persona. Dai furgoni passai ai camion e mi dedicai a trasporti più specializzati. Continuai in questo processo fondando un’azienda di trasporti, fino ad arrivare all’oggi con trentacinque camion.
Oggi non guido più i miei camion, ma gestisco comunque l’azienda. Ogni giorno guardo i miei gioielli con orgoglio ed entro negli uffici per salutare il mio socio, Guido, e guardandolo mi ricordo dei tempi passati, quando col primo furgone andavamo in giro per le strade a consegnare insieme…